| Il ballerino per eccellenza Purtroppo (al contrario di Monica,che spero vorrà raccontarci qualcosa,dato che ha avuto la fortuna di vederlo ballare dal vivo ) l'ho potuto vedere solo nelle vhs di mio babbo e su youtube....anche nei rovinati video(non scordiamoci che,per quanto restaurati siano,non avranno mai i livelli dell'attuale HD )...non gli si poteva scollare gli occhi di dosso !Sembrava quasi che il resto scomparisse ! ma ...iniziamo con la Biografiafonte : http://it.wikipedia.org/wiki/Rudol'f_NurievRudolf Chametovič Nuriev (rus. Рудольф Хаметович Нуриев, tart. Rudolf Xämät ulı Nuriev; Irkutsk, 17 marzo 1938 – Parigi, 6 gennaio 1993) è stato un ballerino e coreografo austriaco di origine sovietica, internazionalmente noto come Rudolf Nureyev, ritenuto da numerosi critici (tra cui Clement Crisp, Sylvie de Naussac ed altri) quale uno tra i più grandi danzatori del XX secolo insieme a Nižinskij e Baryšnikov.
Le origini Nacque su un treno nei pressi di Irkutsk, mentre sua madre si recava a Vladivostok, dove era di stanza il padre, un commissario politico di origine tartara (o meglio Baschira) dell'Armata Rossa. Crebbe in un villaggio nei pressi di Ufa in Baschiria.
L'inizio della carriera artistica A causa dello scompaginamento della vita culturale russa causato dalla Seconda guerra mondiale, Nureyev non fu in grado di entrare in una scuola di danza fino al 1955, quando entrò all'Accademia di Ballo Vaganova aggregato al Kirov di Leningrado. A dispetto dell'età avanzata fu immediatamente riconosciuto il suo immenso talento ma anche il suo carattere estremamente difficile. In due anni Nureyev diviene uno dei ballerini più famosi in Russia, paese nel quale esisteva una grande tradizione per la danza classica e dove i ballerini erano tenuti in alta considerazione. Ebbe il raro privilegio di poter viaggiare fuori dai confini russi, si esibì a Vienna all'International Youth Festival. Poco dopo gli fu revocato il permesso di viaggiare per motivi disciplinari e fu costretto a dei tour nelle province russe.
L'affermazione Nel 1961 la sua sorte cambiò. Il primo ballerino del Kirov, Konstantin Sergeyev, si infortunò e all'ultimo minuto a Nureyev fu permesso di rimpiazzarlo in un'esibizione a Parigi. Qui la sua prestazione esaltò il pubblico e i critici. Ma nuovamente Nureyev infranse le regole, frequentando stranieri, e gli fu detto che sarebbe stato rimpatriato. Rendendosi conto del fatto che non gli sarebbe mai più stato permesso di espatriare, il 17 giugno all'aeroporto di Parigi, Nureyev defezionò: non rivedrà più la Russia fino al 1989, quando la visitò grazie ad uno speciale invito rivoltogli da Mikhail Gorbačëv. Nonostante la distanza Nureyev rimase sempre molto legato alla madre e quando tornò, nel 1989, fu per visitarla ormai agonizzante. Lo stesso anno tornò anche nel suo teatro giovanile, il Kirov.
Nel giro di una settimana Nureyev venne scritturato dal Grand Ballet du Marquis de Cuevas ed interpretò La Belle au Bois dormant con Nina Vyroubova. Nureyev divenne immediatamente una celebrità in occidente; la defezione drammatica, le caratteristiche eccezionali, e, bisogna dirlo, la sua bellezza lo resero una star internazionale. Questo gli diede l'opportunità di decidere dove e con chi danzare. La defezione diede inoltre a Nureyev la libertà personale che gli era stata negata in Unione Sovietica. Durante una tournée in Danimarca conobbe Erik Bruhn, un altro ballerino di dieci anni più anziano, che divenne il suo amante, il migliore amico e il protettore (principalmente dalle "follie" di Nureyev stesso) per molti anni. La relazione tra i due fu molto travagliata, data l'elevata promiscuità di rapporti affettivi che Nureyev intratteneva. Bruhn fu direttore del Balletto reale svedese dal 1967 al 1972 e direttore artistico del Balletto nazionale canadese dal 1983 fino alla morte nel 1986. Uno degli uomini con i quali Nureyev disse di avere avuto un rapporto affettivo fu la star cinematografica americana Anthony Perkins. Nello stesso periodo Nureyev incontrò Margot Fonteyn, una delle migliori ballerine inglesi del suo tempo, con la quale iniziò una proficua collaborazione professionale e d'amicizia. Ella lo introdusse al Royal Ballet di Londra, che rimase la base di Nureyev per tutta la successiva carriera di ballerino. Insieme Nureyev e la Fonteyn trasformarono per sempre, grazie alla loro interpretazione, balletti fondamentali come il Lago dei cigni e Giselle. I due rimasero amici anche dopo il ritiro dalle scene della Fonteyn; quando lei si ammalò di cancro, Nureyev la aiutò finanziariamente e la andò a trovare costantemente nonostante i suoi numerosi impegni di lavoro.
Oltre la danza Nureyev venne immediatamente contattato da numerosi registi e produttori e nel 1962 effettuò il debutto con la versione cinematografica di Les Sylphides. Nel 1976 interpretò il ruolo di Rodolfo Valentino in un film di Ken Russell, ma non ebbe mai il talento e la costanza per intraprendere una seria carriera di attore. Nel 1972 Robert Helpmann lo invitò ad andare in Australia per dirigere insieme a lui ed interpretare il film Don Chisciotte. Durante gli anni '80, Nureyev partecipò a numerosi film e fece una tournée negli Stati Uniti con il revival del musical di Broadway The King and I. La sua partecipazione come ospite alla serie televisiva The Muppet Show, ai tempi in crisi, è considerata l'elemento che ha promosso la serie al successo internazionale. Nel 1982 ottenne la cittadinanza austriaca. Nel 1983 fu nominato direttore del Paris Opera Ballet; da quel momento si dedicò quindi, oltre alla danza, alla direzione dell'Opera ed alla promozione di giovani ballerini. Nonostante la progressione della malattia lavorò senza sosta fino alla fine della sua vita, mettendo in scena nuove versioni di vecchie standbys e commissionando alcuni dei più coreografici spettacoli del suo tempo.
L'uomo Grazie a talento, bellezza e fascino gli vennero giustificate molte cose, ma nemmeno la fama riuscì a migliorare il suo temperamento. Nureyev era notoriamente impulsivo e aveva poca tolleranza verso le regole, le limitazioni e l'ordine gerarchico. Alcuni vedevano in questo atteggiamento mancanza di fiducia e maleducazione nei confronti delle persone con le quali Nureyev lavorava. Nureyev frequentò Jacqueline Kennedy Onassis, Mick Jagger e Andy Warhol, e si fece la reputazione di intollerante nei confronti delle persone comuni; nonostante ciò mantenne vecchie amicizie dentro e fuori il mondo della danza classica per decenni, comportandosi come un fedele e generoso amico. I suoi interessi erano ampi e amava discutere di tutte le tematiche, mostrando una incredibile ricchezza di conoscenze in molti campi. Con il compimento dei quarant'anni alla fine degli anni settanta, iniziò l'inevitabile declino della straordinaria potenza fisica di Nureyev. Egli tuttavia continuò per molto tempo ancora ad interpretare ruoli da protagonista nei grandi balletti classici, causando in particolare dalla seconda metà degli anni ottanta la disapprovazione di molti dei suoi ammiratori.
Nureyev fu molto influente nell'ambito della danza classica: da un lato egli accentuò l'importanza dei ruoli maschili, che a partire dalle sue produzioni vennero sviluppati con molta maggiore cura per la coreografia che nelle produzioni precedenti; dall'altro grazie a lui venne abbattuto il confine tra balletto classico e danza moderna. Nureyev infatti danzò entrambi gli stili, pur essendo stato formato come ballerino classico, cosa che oggi è assolutamente normale per un ballerino, ma nella quale Nureyev fu precursore e che gli causò molte critiche ai tempi. L'AIDS fece la sua comparsa nel mondo intorno al 1982 (ma non si esclude che ci fosse da prima) Nureyev contrasse l'HIV probabilmente proprio intorno a quegli anni. Per un po' di tempo egli semplicemente negò che ci fosse qualcosa di strano riguardo alla sua salute e quando nel 1990 si ammalò senza ombra di dubbio, finse di avere diverse altre malattie, rifiutando qualsiasi trattamento fosse disponibile ai tempi. Alla fine, comunque, dovette affrontare il fatto che stesse morendo.
Riconquistò l'ammirazione di molti dei suoi detrattori grazie al coraggio con il quale affrontò questi momenti. La perdita della prestanza e della bellezza fisica colpirono molto Nureyev, che tuttavia continuò a lottare e ad apparire pubblicamente. Alla sua ultima uscita pubblica, nel 1992, in occasione della produzione della Bayadère al Palais Garnier, Nureyev fu accolto da una emozionante standing ovation del pubblico. Il Ministro della Cultura francese Jack Lang gli conferì la più alta onorificenza culturale francese, il titolo di Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres. Morì a Parigi il 6 gennaio 1993.
altra biografia www.rudolfnureyev.it/home.htmlLibri,scritti e articolime ne hanno consigliati un paio,purtroppo non ne possiedo manco uno! e poi questo,di Valeria Crippa Sul blog La danza nel cuore,ho trovato la recensione del primo libro citato e uno scritto di Nureyev Riporto il post per intero,merita Sono ormai arrivata quasi alla fine della lettura della monumentale biografia di Rudolf Nureyev, scritta in uno stile avvincente e con grande rigore documentaristico da Julie Kavanagh. Non credevo mi avrebbe toccato così profondamente, avendo già visto un paio di DVD sulla vita del grande danzatore e conoscendo le peripezie che hanno accompagnato la sua tormentata esistenza. Sono pagine traboccanti “sangue, sudore e lacrime” quelle che ci guidano attraverso la povertà, il freddo, la desolazione, la fame, l’incomprensione di Rudik ragazzino a Ufa; i suoi primi passi sulle punte e la certezza, urlata dal profondo di tutto il suo essere, che quella sarebbe stata l’unica vita che avrebbe potuto vivere. E poi quei six steps, quei pochi, semplici ma tormentatissimi “sei passi” che lo portarono ad abbracciare, con una scelta disperata, un Occidente tutto da scoprire, che gli avrebbe regalato idolatria, adorazione, successo, accanto ad abissi di solitudine e nostalgia, timore di rivendicazioni, invidie, gelosie e un unico grande vero amore. Sopra a tutto la sua personalità travolgente, cupa e sensibile, forgiata dagli stenti e dalle lacerazioni interiori, dalla rigida disciplina della danza classica, che le luci dei palcoscenici del mondo e gli applausi dei fan adoranti non riuscirono mai ad addolcire. Pagine dolorose si alternano a pagine piene di poesia e ad altre malinconiche. Ma la fine è già stata scritta e, secondo me, quanto di più bello e struggente possa essere detto sul grandissimo Tartaro Volante, è da attribuire proprio a lui stesso e alla sua lettera aperta indirizzata al mondo quando ormai i suoi giorni stavano volgendo al termine. Sono inciampata in queste parole per caso, alcuni anni fa, quando la mia passione per il balletto classico era ancora bambina: non avevo mai visto danzare questa leggenda e nulla o quasi sapevo del mondo della danza. Rileggendole ora, anche alla luce di quanto sto imparando su di lui dalla biografia, riesco a capire meglio il suo stile impetuoso, la luce folle nei suoi occhi, i suoi atteggiamenti talvolta irritanti, e a guardare con occhi diversi i suoi balletti che hanno, nel frattempo, arricchito la mia videoteca di danza.Ma lasciamo a Lui la parola, e leggiamo fino in fondo questa lunga lettera, assaporando con lui la gioia di aver potuto vivere, anche a prezzo di enormi dolori e sacrifici, la sola vita che Rudy riteneva valesse la pena vivere, e bruciare, sino alla fine.
«Era l'odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza. Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe congiunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, la fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare nuovi passi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l'odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un'aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina, Elèna Vadislowa , famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per l'insegnante che la guardava, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte dellasua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà,il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l'universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l'aria. Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sale e sentire il mio sudore uscire dai pori del mio viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell'arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l'unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni , la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero lì e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l'unica cosa che volevo fare era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all'orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione e il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri luminosi della danza. Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l'unica cosa che mi accompagna è la mia danza, la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il suo significato è nel divenire e non nell'apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare. Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qual volta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. E’ la legge dell'amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa o essere ricambiati, altrimenti si è destinati all'infelicità. Io sto morendo e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita....»
Rudolf Nureyev ecco ora un po' di articolihttp://balletto.net/giornale.php?articolo=18www.photographers.it/articolo.php?id=869http://archiviostorico.corriere.it/1993/ge...301072801.shtmlFoto www.nureyev.org/rudolf-nureyev-photo-gallery/www.flickr.com/groups/432337@N20/pool/www.facebook.com/media/set/?set=a.1...18.155648102889http://it-it.facebook.com/media/set/?set=a...121824227884460poi nel prossimo post ci metto i video coi rispettivi link,ho fatto un post troppo lungo !
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